Figli

[Silesia]

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Mi è successo di nuovo.
Ho aperto la chat con mio marito e il messaggio che mi aveva inviato era una foto di nostro figlio. Lo ha raggiunto in un pub tra una nave e l'altra.
E io quella foto non me l'aspettavo.
Quel giovane uomo seduto al tavolino mi ha colpito al cuore, e due lacrimoni sono sgorgati maleducati dagli occhi, senza annunciarsi, senza che io fossi pronta.
E dico "È successo di nuovo" perché mi succedeva così i primi mesi dopo la sua nascita, quando posavo lo sguardo sul suo piccolo viso mentre dormiva o mentre era tutto intento a succhiare il latte dal mio petto.
Possibile che a distanza di ventiquattro anni l'emozione non si plachi? Cosa mi ha fatto questo figlio, cosa mi hanno fatto i miei figli, per sconvolgermi così tanto e per così tanto?
È il miracolo che non passa, la vita che scivola e te li serve uomini e donne, mentre tu ti sforzi di ricordare il gusto delle portate di mezzo.
Nascevano lacrime per il neonato, ma ora nascono lacrime per il bambino che è stato, per l'adolescente sudato, per gli zaini lasciati alla fermata dell'autobus, per il primo volo preso da solo, per la barba che è cresciuta veloce sulle guance morbide che ricordavo. Ora sono lacrime che hanno più di vent'anni di storia, di parole inventate, di felpe preferite, di tosse e mal di gola e di fidanzate andate e venute.
È successo di nuovo che non riesca a prendere il filo della maternità, che me ne imploda l'immensità negli occhi, il privilegio che non a tutti è dato, il mistero di una vita che non è tua, che al massimo ha qualcosa di simile a te ma non ti appartiene e alla quale ti senti invece legata da un nodo indissolubile che più passa il tempo più si stringe.
I miei figli mi tolgono il fiato da quando sono nati.
Li guardo e non ho davvero bisogno di altro.
Sto.
Come in una partita a poker dove in mano ho scale reale.


Irene Renei