Peanuts: Charlie Brown e c.

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La sindrome dell'abbandono
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Bisogna avere in sè il caos per partorire una stella che danzi
(F. Nietzsche)


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Ai posteri l'ardua sentenza
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Bisogna avere in sè il caos per partorire una stella che danzi
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Silesia
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‘L’elogio della lentezza’
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Vertigine non è paura di cadere ma voglia di volare
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Silesia
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Re: Peanuts: Charlie Brown e c.

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"Come può il mondo peggiorare con me dentro? Da quando sono nata il mondo ha mostrato un netto miglioramento"
Dalla prefazione di Umberto Eco al libro Arriva Charlie Brown!
Non beve, non fuma, non bestemmia. È nato nel 1922 nel Minnesota. Vive modestamente ed è "lay preacher" in una setta detta la Chiesa di Dio; è sposato e ha, credo, quattro bambini. Gioca a golf e a bridge e ascolta musica classica. Lavora da solo. Non ha nevrosi di alcun genere. Quest’uomo dalla vita cosi sciaguratamente normale si chiama Charles M. Schulz. È un Poeta.
Quando dico "Poeta" lo dico per fare arrabbiare qualcuno. Gli umanisti di professione, che non leggono i fumetti; e coloro che accusano di snobismo gli intellettuali che fingerebbero di amare i fumetti. Ma sia bene inteso: se "poesia" vuole dire capacità di portare tenerezza, pietà, cattiveria a momenti di estrema trasparenza, come se vi passasse attraverso una luce e non si sapesse più di che pasta sian fatte le cose, allora Schulz è un poeta. Se poesia è individuare caratteri tipici in circostanze tipiche, Schulz è un poeta. Se poesia è far scaturire da eventi di ogni giorno, che siamo abituati a identificare con la superficie delle cose, una rivelazione che delle cose ci faccia toccare il fondo, allora, una volta ogni tanto, Schulz è poeta. E se poesia fosse soltanto trovare un ritmo privilegiato e su di quello improvvisare in una avventura ininterrotta di variazioni infinitesime, così che dall’incontro altrimenti meccanico di due o tre elementi possa scaturire un universo sempre nuovo, cantato senza pause, ebbene anche in questo caso Schulz è poeta. Più di tanti altri. […]
Non è vero che i fumetti siano un innocuo divertimento che, fatto per bambini, anche gli adulti possano apprezzare dopo pranzo, seduti in poltrona, per consumare le loro quattro evasioni senza danno e senza acquisti. L’industria della cultura di massa fabbrica i fumetti su scala internazionale e li diffonde ad ogni livello: davanti ad essi (come davanti alla canzone di consumo, al libro giallo e alla trasmissione televisiva) muore l’arte popolare, quella che sale dal basso, muoiono le tradizioni autoctone, non nascono più leggende raccontate intorno al fuoco, e i cantastorie non vengono più a mostrarvi le loro tavole narrative durante le feste sull’aia o sulla piazza. Il fumetto è commissionato dall’alto, funziona secondo tutte le meccaniche della persuasione occulta, suppone nel fruitore un atteggiamento di evasione che stimola immediatamente le velleità paternalistiche dei committenti. E gli autori per lo più si adeguano: così il fumetto, nella maggior parte dei casi, riflette l’implicita pedagogia di un sistema e funziona come rafforzamento dell’occulto dei miti e dei valori vigenti. […]
Sappiamo tutti che la figura di Paperon de’ Paperoni riassume tutti i vizi di un capitalismo generico fondato sul culto del denaro e sullo sfruttamento dei propri simili a fini esclusivi di profitto; lo stesso nome che il personaggio assume nell’originale, Uncle Scrooge (col suo richiamo al vecchio avaro del Racconto di una notte di Natale di Dickens), serve a indirizzare questa critica indiretta contro un modello di capitalismo ottocentesco (fratello dello sfruttamento dei piccoli in miniera e delle punizioni corporali nelle scuole) che ovviamente la società moderna non teme più e che chiunque può permettersi di criticare. […]
Il mondo dei "Peanuts" è un microcosmo, una piccola commedia umana sia per il lettore candido che per quello sofisticato.
Al centro sta Charlie Brown: ingenuo, testone, sempre inabile e quindi votato all’insuccesso. Bisognoso, sino alla crisi, di comunicazione e "popolarità", e ripagato dalle bambine matriarcali e saccenti che lo attorniano col disprezzo, le allusioni alla sua testa rotonda, le accuse di stupidità, le piccole malvagità che colpiscono a fondo. Charlie Brown impavido ricerca tenerezza e affermazioni da ogni parte: nel baseball, nella costruzione di aquiloni, nei rapporti con Snoopy il suo cane, nei contatti di gioco con le ragazze. Fallisce sempre. La sua solitudine si fa abissale, il suo complesso di inferiorità pervasivo colorato dal sospetto continuo, che prende anche il lettore, che Charlie Brown non abbia alcun complesso di inferiorità, ma sia veramente inferiore. La tragedia è che Charlie Brown non è inferiore. Peggio: è assolutamente normale. È come tutti. Per questo marcia sempre sull’orlo del suicidio o quanto meno del collasso: perché cerca la salvezza secondo le formule di comodo propostegli dalla società in cui vive (l’arte di conquistare gli amici, come divenire un intrattenitore ricercato, come farsi una cultura in quattro lezioni, la ricerca della felicità, come piacere alle ragazze… a lui lo hanno rovinato, ovviamente, il dottor Kinsey, Dale Carnegie, Erich Fromm e Lyn Yutang).
Ma poiché lo fa con assoluta purezza di cuore e nessuna furbizia, la società è pronta a respingerlo nella persona di Lucy, perfida, sicura di sé, imprenditrice a profitto sicuro, pronta a smerciare una sicurezza del tutto fasulla ma di indubbio effetto (sono le sue lezioni di scienze naturali al fratellino Linus una accozzaglia di improntitudini che a Charlie Brown danno male allo stomaco, "I can’t stand it", non posso sopportarlo, geme lo sciagurato, ma con quali armi si può arrestare la malafede impeccabile quando si ha la sciagura di essere puri di cuore?…).
Charlie Brown è stato definito "il bambino più sensitivo mai apparso in un fumetto, capace di variazioni di umore di tono Shakespeariano" (Becker) e la matita di Schulz riesce a rendere queste variazioni con una economia di mezzi che ha del miracoloso: il fumetto, sempre pressoché aulico, in una lingua da Harvard (raramente questi bambini scadono nel gergo o peccano di anacoluti) si unisce a un disegno capace di dominare, in ogni personaggio, la minima sfumatura psicologica. Così la quotidiana tragedia di Charlie Brown si graffisce ai nostri occhi con una incisività esemplare. […]
Schroeder al contrario trova la pace nella religione estetica: seduto al suo piccolo pianoforte fasullo da cui trae melodie ed accordi di complessità trascendentale, sprofondato in una sua totale adorazione per Beethoven, si salva dalle nevrosi quotidiane sublimandole in un’alta forma di follia artistica. Nemmeno l’amorosa costante ammirazione di Lucy riesce a smuoverlo (Lucy non può amare la musica, attività poco redditizia di cui non comprende la ragione, ma ammira in Schroeder un vertice irraggiungibile, forse la stimola questa adamantina ritrosia del suo Parsifal in sedicesimo e persegue con cocciutaggine la sua opera di seduzione senza neppure scalfire le difese dell’artista): Schroeder ha scelto la pace dei sensi nel delirio dell’immaginazione. "Non dica male di questo amore, Lisaweta; è buono e fecondo. Vi è dentro nostalgia e melanconia, invidia e un poco di disprezzo e una completa, casta felicità" – non è Schroeder naturalmente, è Tonio Kroeger, ma il punto è questo; e non per nulla i bambini di Schulz rappresentano un microcosmo dove la nostra tragedia e la nostra commedia è tutta rappresentata.
All’improvviso, in questa enciclopedia delle debolezze contemporanee, ci sono, come si è detto, schiarite luminose, variazioni disimpegnate, allegri e rondò dove tutto si pacifica in poche battute. I mostri ritornano bambini. Schulz diventa solo un poeta dell’infanzia.
Noi sappiamo che non è vero e facciamo finta di credergli. Nelle sue strisce continuerà a mostrarci nel volto di Charlie Brown, con due colpi di matita, la sua versione della condizione umana.
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Snoopy/kandinsky
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Si può fare del dibattito per cercare di capire se nell'opera di Schulz prevalga l'ironia, la caricatura sociale o il grottesco, sempre espresso con garbo, ma grande importanza deve essere riconosciuta alla semplicità del tratto unita all'enorme espressività dei personaggi. Raramente, forse mai si sono visti volti tanto comunicativi, posture tanto dinamiche, espedienti grafici tanto redditizi dentro un disegno così essenziale: la superba capacità dell'autore sta proprio nell'enorme divario che corre tra l'immediatezza grafica e l'immane quantità di concetto che quelle poche linee trasmettono al lettore. Nulla va tolto alla sua straordinaria lirica, ma le strisce senza parole sono forse le migliori.
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La scurezza
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Insonnia, non servono parole, basta guardare le posizioni.
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Il papà di Snoopy
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Dolcetto o scherzetto
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