Alda Merini

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Alda Merini

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Ci sono pene d'amore che prendono tutto l'universo e generano angeli come figli di un unico spazio,
e con loro c'è il demone che sono i tuoi sensi, che sono la tua passione.
Dio mi guardi dal sconvolgerti con questi miei firmamenti.
Dio mi guardi dal sorriderti, dal vederti, dall'incontrarti.
La forma del peccato è simile a quella di un angelo ma abita nei confini della morte,
e tu sai che io potrei morire d'amore.
Perciò non guardarmi.
Ti dirò che anche il demonio è sensibile e non vuole che gli si neghi la sua voracità.
E' una belva che va ammansita, ma non guidata.
Non ricacciarla nella sua tana orrrenda: potrebbe ancora trasformarsi e diventare amore.
Non condannare il demonio alla morte suprema;
pensa che Lucifero è stato amato da Dio più di tutti, più di tutti.


Alda Merini

da "L'anima innammorata"
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Bisogna avere in sè il caos per partorire una stella che danzi
(F. Nietzsche)


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Re: Alda Merini

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In un attimo

O demone in un attimo
mi porti lontano verso di lui

che crudelmente mi bacia
in cerca di una avventura.

Alda Merini
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Re: Alda Merini

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Il profumo del tempo

Orologio:
scalpellino del tempo.
Colpisce nella muraglia più dura della notte,
trafora tenace, il pendolo.
La vaniglia, sveglia,
compone partiture di odori.
Vigilando il lavoro dell'orologio,

percorre, con gli amici muti, il silenzio.

"... pensate a quanti fiori di preghiera possono nascere
dal vostro labbro, e che ci sono fiori bellissimi che
vivono avvinghiati ad una sbarra.
Forse qualcuno morirà dietro questa sbarra ma comunque
il dolore è una grande semina, e se non servirà a voi
servirà alle nuove generazioni che dal Vostro dolore
faranno nascere nuova letizia."

Alda Merini

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Re: Alda Merini

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MILANO - La poetessa Alda Merini, 78 anni, è morta l' 1 novembre 2009, alle 17.30 all'ospedale San Paolo di Milano.
Era considerata una delle principali poetesse del Novecento
Se la morte

fosse un vivere quieto,
un bel lasciarsi andare,
un'acqua purissima e delicata
o deliberazione di un ventre,
io mi sarei già uccisa.
Ma poichè la morte è muraglia,
dolore, ostinazione violenta,
io magicamente resisto.
Che tu mi copra di insulti,
di pedate, di baci, di abbandoni,
che tu mi lasci e poi ritorni
senza un perchè
o senza variare di senso
nel largo delle mie ginocchia,
a me non importa
perchè tu mi fai vivere,
perchè mi ripari da quel gorgo
di inaudita dolcezza,
da quel miele tumefatto
e impreciso
che è la morte di ogni poeta
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Re: Alda Merini

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"Come sono arrivata al manicomio? Per una grande passione non ricambiata verso un medico che mi ha condotta sull'orlo della follia. E' bastato quel tentato suicidio, purtroppo, che poi ho sublimato nel libro Tu sei Pietro, che mi pare il più bel libro. Quest'uomo non voleva il mio amore. ma non lo voleva neanche mio marito. Quindi ero una donna molto spaesata, molto creativa, pien di vita, ma senza comprensione. E a lungo andare anch'io mi sono talmente avvilita che ho accettato il manicomio. Però lì ho trovato un altro mondo, il mondo della felicità intellettuale, che Maria Corti esprime col...loro la chiamano igiene mentale, che è la sublimazione di tutti gli istinti: si riesce a trovare un nuovo coordinato di parole con cui il manicomio diventa un mito. Ma un mito che non esiste, una favola. In fondo è la favola dell'orco, con la strega di Biancaneve, con Biancaneve che viene salvata dal cacciatore... Se vogliamo raccontarla in termini di favola, ecco che è già fatta la favola del manicomio. Però era un'istituzione protettiva dove l'uomo riparava questi suoi sogni di follia, dove la follia era presente ma sollevata. Magari era un pensiero fisso di nessuna pericolosità, però... Si potrebbe anche ridere su certe cose, ma sono stati anni di grande lacerazione interiore. E questa ricerca all'interno dell'uomo, dell'essere umano, urla contro i viaggi improvvisi, le venute a Mantova, perchè l'uomo ha imparato, come me, a domandarsi chi è, a fare un'introspezione molto lunga. Certo che ho amato, ma così, in modo sognante. Il desiderio non è questione di età. E' questione di essere riusciti a sublimare la bestialità che c'è in noi - le abbiamo proprie tutte, le cosiddette tentazioni. Io ho imparato tutto questo, adagio adagio, tollerando, sopportando anche le pretese di certi giovinastri del nostro tempo che mi vedono e dicono :"La Merini è arrivata. Chissà come ha fatto!" La Merini è arrivata perchè è passata sotto le forche caudine e ce l'ha fatta. Molti altri sono morti. Però vorrei spendere due parole per quei ragazzi che vanno in giro a dire: "Io conosco la Merini", e si strusciano, si mettono la piuma perchè hanno visto la Merini. Questi qui è come se brillassero di luce riflessa, e in effetti non hanno capito niente." Come si fa a scrivere? E' come una passione che uno ha. Si nasce destinati a scrivere. E' diffficile farlo. Difficile digerire la società che abbiamo, dove c'è molto malcostume. Ecco, Le Lettere al Dottor G. sono un esempio dell'educazione con cui mi rivolgo a quest'uomo, pregandolo di darmi un giorno di libertà. E mi sembrava anche giusto... Però non abbiamo mai fatto scandolo noi malati. Eravamo il popolo eletto, la Terra Santa, il popolo eletto di Dio; eletto perchè innocente. Ecco che cosa salva la poesia: l'innocenza. Ma è dura da raggiungere, l'innocenza. Bisogna scorticarsi vivi."

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Re: Alda Merini

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Amo, e Tu sai che l’anima mi è stanca:

troppe volte abbattuto

fu il fantasma del vuoto delle mie case!


A.Merini
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Re: Alda Merini

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Correte cavalli bianchi
portatori di grandi aurore
sul pelo della mia lingua
che a lui non parlerà più.
Oh erba infelice
che entri nella bocca
e senti la sua saliva
e la dolcezza dell'anima.
Erba diventata nera
dai a me il tuo ultimo fiore
e sia una spada.

Alda Merini



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Re: Alda Merini

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Ogni poeta

laverà nella notte

il suo pensiero

ne farà tante lettere

imprecise

che spedirà all'amato

senza un nome.


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Re: Alda Merini

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I poeti lavorano di notte


I poeti lavorano di notte
quando il tempo non urge su di loro,
quando tace il rumore della folla
e termina il linciaggio delle ore.
I poeti lavorano nel buio
come falchi notturni od usignoli
dal dolcissimo canto
e temono di offendere Iddio.
Ma i poeti, nel loro silenzio
fanno ben più rumore
di una dorata cupola di stelle.
Io ti debbo i racconti più fruttuosi
della mia terra.

Alda Merini
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Re: Alda Merini

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Alda Merini e la sua Milano: una madre diventata matrigna

di Rossano Astremo

“Non l’amo più Milano. È diventata una belva che non è più la nostra città. Adesso è una grassa signora piena di inutili orpelli”. In queste poche righe si può sintetizzare l’aura negativa che pervade tutte le pagine di Canto Milano, ultimo libro di Alda Merini, edito da Manni, che raccoglie poesie e prose, alcune edite, altre inedite, tutte declinanti il rapporto tra la scrittrice e la sua città natale. Nell’introduzione al testo la Merini si sofferma più volte sull’imbarbarimento civile non solo dei milanesi, ma degli italiani tutti: “La gente oggi non sogna più. Arriva la mattina al lavoro e si trasforma in una macchina di produzione. Abbiamo perso l’umanità. Continuando a costruire e affollare case su case, l’uomo nono sogna, non fa più il poeta”.
Le pagine più dense sono quelle, quindi, in cui la Merini ricorda la Milano dell’infanzia, quella dei quartieri popolari e delle osterie, dei barboni e degli artisti. Perché, come ha giustamente scritto Maria Corti nell’introduzione a “Fiore di poesia”, nella Merini “vi è prima una realtà tragica vissuta in modo allucinato e in cui lei è vinta; poi la stessa realtà irrompe nell’universo della memoria e viene proiettato in una visione poetica in cui è lei con la penna in mano a vincere”.
Il racconto di una città diviene racconto di se stessa, luogo mentale attraverso il quale imbandire la tavolo tragica di un io che si manifesta in toto, un io che si frantuma in schegge, che appare colmo di immagini e di risposte diverse, o si presenta come la scena di un teatro costeggiata da personaggi e volti che si intrecciano nelle oscure casualità dell’esistenza: “Io invece cammino tribolata / su e giù / per questa mia città rattrappita / che non vede il tuffo spericolato / della mia povera anima”. O ancora: “Milano non è più mia madre / mi è diventata matrigna: / la gente mi ferma solo per dirmi / che mi ha visto alla televisione e nient’altro, / molti mi chiedono gli autografi, / ma io mi sento più sola che mai, / molto più di prima, di quando andavo al centro / sconosciuta da tutti”.
Si gioca continuamente su questi rimandi esterno/interno, l’azione dell’occhio che osserva Milano è seguita da una reazione che si snoda tra le trame del soggetto poetico. Appaiano anche in questo libro le tematiche tipiche del suo lavoro, amore- erotismo, cristianesimo-paganesimo, sequestro-esilio-manicomio, senza che l’alternarsi di poesia e prosa snaturi la costante presenza del dettato epico-tragico che sostanzia il suo percorso creativo.
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