Edward Hopper

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Re: Edward Hopper

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Edward Hopper, Emporio, 1927

Edward Hopper, il maggior pittore americano della prima metà del Novecento, riempie di significazioni mute il luogo che apparentemente è del nulla e che invece si agita fremendo, abitato dal mistero. In questo senso, il valore del celeberrimo suo quadro "Emporio", dipinto in una notte del 1927 a New York, è un esempio perfetto. Quando solitudine, silenzio e appunto mistero fondano l’idea di uno spazio che è l’assoluto disabitato dall’uomo. Il cui valore di presenza però con forza si ascolta.
Lo spazio dunque non può essere solo il puro paesaggio, la grande visione di natura degli artisti ottocenteschi della Hudson River School, quei realisti che fecero scoprire a tutti la bellezza ancora incontaminata e selvaggia della nazione americana. Ma di più, il contorno della città, le sue strade, i suoi quartieri la notte, i caffè, gli interni borghesi, le stazioni di benzina, la sala di un teatro, un balcone inondato dal sole. Dentro questa visione includente che parte dall’apparente nulla, Hopper lavora per dar vita a quel grumo inestricabile che fa del viaggio nell’interiorità il suo punto più alto. Sono stanze disadorne della psiche, illuminate dalla luce di una notte che è della natura e della mente insieme.
Hopper unisce quindi nella sua immagine la realtà con la visione, e questo certo gli viene anche dal suo amore per il cinema americano. Del resto, a scorci soprattutto urbani come in questo Emporio, hanno poi guardato grandi registi interessati al suo magistero compositivo, da Hitchcock a Wim Wenders. Nel 1953 il pittore dichiara: «La grande arte è espressione esteriore della vita interiore dell’artista e questa vita interiore si tradurrà nella sua personale visione del mondo. La vita interiore di un essere umano è un regno sconfinato e vario.» Così, in certe notti nelle quali Hopper dipinge il silenzio, la solitudine e la malinconia, noi non troviamo più alcuna nota di realismo, ma sentiamo l’inquietudine di una bellezza che nasce dalla sospensione della realtà. Ciò che si manifesta, si nasconde. Ancora una volta, la notte pare perfetta per questa sospensione. Una notte a New York nel 1927.

Marco Goldin
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Edward Hopper
Nighthawks
( Nottambuli ) 1942

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Hopper dichiarava di amare molto questo dipinto, che gli era stato suggerito da un ristorante all'incrocio di due vie del Greenwich Village.

In un'intervista a Katherine Kuh dichiarò che probabilmente era il suo modo di pensare la notte: "Solitaria e vuota ?" chiese la donna. "Non mi sembra particolarmente solitaria. Ho semplificato molto la scena e ho ingrandito il ristorante. Probabilmente inconsciamente ho dipinto la solitudine di una grande città", aggiunse l'artista.
Ma il dato immediatamente evidente è il gioco dei colori nella fredda luce artificiale che inonda il locale.

L'opera, nonostante il gran numero di interpretazioni che si possono dare, risulta fortemente impregnata di ambiguità...non è certamente il "Salone delle illusioni perdute" come illustrava un poster raffigurante Humphrey Bogart e James Dean quali avventori del locale.
Il tema è più verosimilmente il fascino della notte...la cui oscurità è rischiarata dal neon del bar che proietta la sua luce, attraverso la grande vetrata, negli interni dei vicini negozi chiusi.
La posizione angolare del locale permette uno sguardo dall'esterno all'interno e poi di nuovo all'esterno; l'ampia vetrata apre la visione al suo interno e ci permette di cogliere interamente la scena, "interpretata" da quattro personaggi: il barman che serve gli ultimi tre avventori, un uomo solitario visto di spalle e una coppia chiusa in un apparente mutismo.

Charles Burchfield dichiarò che "i posteri impareranno di più sulla nostra vita dall'opera di Hopper che non da tutte le analisi sociologiche, i commenti politici o gli sguaiati titoli di giornale di oggi".

Guardiamo ''Nottambuli'' con quella evocazione della vasta solitudine della città, come appare agli ultimi sbandati...questo quadro è un commento incredibilmente penetrante alla nostra vita.
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Re: Edward Hopper

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Edward Hopper - Hotel-lobby, 1943
(olio su tela - Indianapolis Museum of Art)
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Edward Hopper (1882-1976) "Gloucester Beach, Bass Rocks"
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Edward Hopper (1882 - 1967) Sea Watchers, (1952)
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Edward Hopper, New York Interior, (ca. 1921). Whitney Museum of American Art, New York
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E' femminile e un po' inquietante, al tempo stesso, ed è così, intimistica, che Hopper immaginava la sua donna, o la Donna in generale, quando dipingeva. Questi tocchi accennati, questi volti non visti, sono la resa grafica di un suo isolamento, emotivo e anche fisico, del suo modo per niente liscio e semplice di vivere il rapporto con l'altro sesso. E' un silenzio struggente, che vuole parlare del silenzio dell'artista, e lo si vede nel 'paesaggio' stanco, in quel gesto che non esiste, nelle spalle ricurve. La donna è allo stesso tempo Hopper che non riesce ad avvicinare un donna e la donna che Hopper osserva. Effettivamente si, questa donna sta cucendo, è presa in un attimo qualsiasi, come qualsiasi dei personaggi dei suoi quadri: non si deve mai capire, cosa provino o pensino, dal momento in cui lui 'fotografa' con il suo pennello, dai tratti apparentemente casuali, ma dalla tecnica di fondo estremamente rigorosa.
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Re: Edward Hopper

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Luce tagliente ed una desolazione ancora più dichiarata del solito...

Edward Hopper - Sole in una stanza vuota, 1963
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Re: Edward Hopper

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Edward Hopper - Corn hill, 1930
(olio su tela 72.39 x 107.95 cm- McNay Art Museum, USA)
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Re: Edward Hopper

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Edward Hopper - Lo spogliarello (Girlie Show), 1941
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Re: Edward Hopper

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Edward Hopper - Tetti a Gloucester, 1928
(acquerello su carta- collezione privata)
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