Renè Francois Magritte

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Renè Francois Magritte

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Il mistero della realtà nella lucida enigmatica visione dell’inconscio. Immagini per esplorare se stessi ed interrogare il mondo.
Con Magritte la razionalità si ritrae, la logica si ripiega su se stessa, la mente si offusca. Accostamenti dissociativi, composizioni assurde, situazioni in bilico tra l’onirico e la più fervida immaginazione, tutto, nella diafona recettività dell’artista che trasferisce nell’immagine il pensiero visibile. Oggetti quasi banali, sapientemente incastonati in scenografie al limite del concepibile, risvegliano ricordi assopiti nei più remoti angoli dell’inconscio e le visioni oniriche acquistano, così, tangibilità con simboli e segni che turbano e inquietano lo spettatore.
Una mostra la cui soluzione di continuità è cesellata nel mondo dei sogni, dove ogni opera è una scena aperta nella teatralità della mente.
L’inconscio ne sprigiona la bellezza onirica, fonte di mistero e la prontezza mentale ne carpisce il senso.
Sono opere, quindi, che non appagano per una bellezza classica ma che stimolano l’istinto nella ricerca della propria profondità. Un gioco di quinte e fondali nel teatro dell’esistenza, proprio come nell’opera “Il fantino perduto” - la sua prima opera surrealista, dove un sipario teatrale incornicia il fantino a cavallo nella sua statica corsa, tra una foresta di pseudo-birilli rivestiti di spartiti musicali, trasformati in alberi.
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"Le joueur secret 1927"
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Bisogna avere in sè il caos per partorire una stella che danzi
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Nel ristretto territorio della sopravvivenza d’immagini, il sentimento estetico del sapere, filtra la mente e ne riversa l’evanescenza nel pensiero visibile, l’unico possibile, l’unico concepibile, l’unico presente in mostra, per un viaggio a ritroso nella profondità oscura di un io, soggetto e oggetto nel puzzle dell’inconscio.

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” L’assassin menaci “1927
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Re: Renè Francois Magritte

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SOGNI E RICORDI

Nulla è più lontano dalla realtà quanto una reale visione dell’anima allo specchio. Nulla è più lontano dall’irrazionale quanto l’inconscio razionale di Magritte. Percezione sensoriale, frantumazione dello spazio, dilatazione del tempo. Al di là della mente, nell’estrapolazione arcaica di segni che rimandano al sensibile, tutto a un senso. Surrealistica introspezione dell’io nella conflagrazione di arte, filosofia e psicoanalisi. Il corpo, tempio dell’essere acquista valenza simbolica e l’astrazione dell’anima prende forma.
Renè Francois Magritte nasce nel 1898 a Lesines, in Belgio, monarchia indipendente dal 1831.
Non amava le biografie, la vita di un’artista, secondo Magritte, sta nelle proprie opere che la devono smentire. Una vita imperniata sui ricordi è presagio di una esistenza persa è l’immagine del passato in una proustiana ricerca del tempo perduto. Il pensiero froidiano, riconosce la presenza dei ricordi nel lavoro della memoria e in Magritte l’affermazione dello psicoanalista J.-B. Pontalis assume il suo pieno significato:
Non abbiamo ricordi d'infanzia, ma solo ricordi sulla nostra infanzia. Essi non emergono dal passato remoto ma si formano in tarda età. La nostra memoria è una finzione retroattiva, retroattivamente anticipatrice, che appartiene a pieno titolo al regno della Phantasia".
Il ricordo vive nell’inconscio, Freud ne percorre i labirinti, ne scandaglia il territorio, mettendo a nudo paure, ansie e desideri. Intime rivelazioni emergono dalla profondità dell’animo umano in riflessi di un vissuto inesplorato, enigmatico e visionario. Nell’inconscio, l’illogico incontra il ricordo e ne scaturisce l’iconografia sequenziale d’istanti cristallizzati nella nostra memoria emotiva. Appare, allora chiaro , come il tema costante della pittura di Magritte, si risolva in un segmento di ricordo legato alla morte della madre. Nel 1912 infatti, la madre viene trovata annegata nel fiume Sambre, con la testa avvolta da una camicia da notte. Il ricordo della camicia da notte che copre il volto, ritorna come un leit motiv in moltissimi lavori di Magritte. (L'historie centrale e i volti degli Amanti del 1928)

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"Gli amanti” 1928
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Nel 1916 s’iscrive e frequenta l’Accademia di Belle Arti, conosce poeti e letterati dell’avanguardia di Bruxelles come Pierre Bourgeois e Pierre Louis Floquet, dipinge quadri di ascendenza cubista e futurista. Il suo è un percorso di ricerca, d’introspezione, di conoscenza di se stessi. Un’indagine a più voci dove ogni singola sfumatura, ogni timbro vocale viene modellato in un’orchestrazioneraffinata e velata di mistero. Ma è la conoscenza di De Chirico e in particolare del suo quadro metafisico, Canto d’amore, di cui il poeta Marcel Lecomte gli mostra la riproduzione, a imprimere nella sua poetica una svolta fondamentale, tanto da ricordare, molti anni dopo: "Nel 1910 De Chirico gioca con la bellezza, immagina e realizza ciò che vuole: dipinge il Canto d’amore, in cui si vedono riuniti un guanto da boxe e il viso di una statua antica. Dipinge Malinconia in un paesaggio con alte ciminiere di fabbriche e muri infiniti. Questa poesia trionfante ha sostituito l’effetto stereotipato della pittura tradizionale. È una completa rottura con le abitudini mentali proprie degli artisti prigionieri del talento, del virtuosismo e di tutte le piccole specialità estetiche. È una nuova visione nella quale lo spettatore ritrova il suo isolamento e intende il silenzio del mondo".
Il linguaggio metafisico, la pittura metafisica, l’universo metafisico, avvolge e affascina Magritte.
Atmosfere indefinite nella sospensione dei suoi temi, echeggiano tra l’apparenza e la realtà. Immagini che sono mistero, trame impossibili, contenuti indecifrabili, illogici accordi sequenziali, provocano inquietudine, sgomento, timore verso l’ignoto. Soggetto e oggetti, in apparenza senza nessuna relazione fra loro, sembrano vagare nello spazio, emergere dallo sfondo e soffermarsi sulla soglia per indicare vie sconosciute. Costruzioni e decostruzioni, architetture della mente, piani estremi dove le piazze, gli spazi aperti e gli orizzonti alla De Chirico, s’innescano con le presenze metafisiche dei luoghi dello spirito. Contrasti, proporzioni e sproporzioni, pieni, vuoti, zone d’ombra e masse dense che, se da un lato creano incoerenza visiva, dall’altra generano atmosfera nello spettatore. Un'eterofonia di sfumature, di suoni e richiami verso il surrealismo.
Il Surrealismo nacque nel 1924, teorico del gruppo fu soprattutto lo scrittore André Breton che ne redisse anche il Manifesto. Secondo Breton, il sogno rappresenta gran parte dell’attività del pensiero umano. Solo conciliando i due momenti, quello della veglia e quello del sogno possiamo giungere ad una realtà superiore (appunto una surrealtà).
Una considerazione che porta Breton a definire così il Surrealismo:
"Automatismo psichico puro col quale ci si propone di esprimere, sia verbalmente, sia per iscritto, sia in qualsiasi altro modo, il funzionamento reale del pensiero. Dettato dal pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica o morale."
Molti furono gli artisti che aderirono o che si avvicinarono al surreliasmo, Ernst, Mirò, Dalì, Savinio, De Chirico, tutti riuniti nella Scacchiera surrealista di Breton
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”Scacchiera surrealista “ 1934
Le caselle di una normale scacchiera da gioco, sostituite con le fototessere degli amici surrealisti. Nata nel 1934 da un’idea di Man Ray, la scacchiera mette insieme, chi surrealista lo è stato da subito, chi fu espulso dopo il primo anno, come Dalì e chi non ha mai aderito formalmente, come Giorgio De Chirico. Nessun gioco può rappresentare il surrealismo come gli scacchi, la partita tra Duchamp e Man Ray, in una terrazza, nel film surrealista, Entr'acte, di René Clair, ne è la sintesi perfetta. Lo stesso Magritte era appassionato di scacchi tanto da dedicare molti quadri all'argomento, Le jockey perdu, del 1926 (uno dei suoi primi quadri surrealisti) e Scacco Matto, del 1937.
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IL SENSO E IL NON SENSO
Nel senso di esistere è imperniata la condizione umana, trovare un senso logico, concreto, corrispondente al vero, al trascendente è bisogno primario dell’uomo. La continua ricerca di un equilibrio tra il sé e l’esternazione del sé, si configura in una parabola tra etica e utopia, come quintessenza del pensiero per scorrere tra la linfa del mondo. Ma dietro l’apparente tranquillità delle cose c’è il sogno, il presagio, lo spirito, il surrealismo e lo spostamento del senso.
Il surrealismo non nega la realtà, la trasfigura, questo disorienta, sconcerta, inquieta, induce al mistero, all’enigma più dell’astrattismo. Fondamentalmente i principi basilari sono due: gli accostamenti inconsueti e le deformazioni irreali. I primi, spiegati da Max Ernst come “accoppiamento di due realtà in apparenza inconciliabili su un piano che in apparenza non è conveniente per esse".
Per libera associazione di idee si uniscono oggetti e spazi che non hanno niente in comune, distanti fra loro e appartenenti a contesti diversi. Ne risulta una visione di bellezza inedita, assurda, al limite del concepibile quasi, a voler frantumare le nostre certezze. Le seconde nascono dalla metamorfosi. Corpi, oggetti, forme rivelano la nature delle cose nella loro trasformazione in qualcos’altro. Caducità di uno stato transitorio che suggestiona la mente, suscita sensazioni sospese tra l’apparenza della realtà e il suo profondo, e induce a riflettere sul divenire comprensibile e l’onirico, il mistero, l’impenetrabile. La trasformazione della foglie in uccelli ne Le grazie naturali, 1963, di Magritte, è dialogo allo stato puro, dove nessun parametro logico viene rispettato, la visione supera la realtà, si stacca dalla sua crosta e vive libera da vincoli e da limiti.

Magritte è surrealista, estremamente surrealista tanto da risultare scomodo al surrealismo. Sia perché il suo ostinato isolamento belga lo tiene lontano dal fermento parigino, sia perché la visione, acquista sempre più spessore, valenza autonoma e importanza fondamentale, superiore e al di là della realtà.
Un percorso solitario all’interno di un movimento eterogeneo, che provoca nel 1929 la rottura con l’amiciza di Breton, quando decise di tornare in Belgio, ma già nel 1934 è il quadro di Magritte Le viol a fare da copertina al libro di Breton, Qu'est-ce que lesurréalisme?
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IL PENSIERO VISIBILE
Importante nella mia pittura è ciò che essa mostra." Questa semplice affermazione riassume le evidenti diversità che contraddistinguevano la sua opera da quella degli altri esponenti del surrealismo. L’opera ha vita propria, svelarne l’invisibilità equivale a coglierne il senso. Per Magritte il mondo delle idee vive nelle visioni e il suo stile pittorico, riporta nelle immagini, la naturalità della magia, del pensiero, dell’invisibile, eludendo ogni artificio, dalla teatralità della metafora e della metamorfosi di Dalì, alla prolificazione dei fantasmi desertici di Tanguy. Come il soffio del vento solleva il pulviscolo, la pittura solleva il sapere. Quindi non più gesto pittorico inteso esclusivamente come abilità tecnica, ma trasmissione del pensiero attraverso un piano estetico. Il pittore, oltre a saper pensare deve far pensare. Ne risulta un’immagine strettamente collegata al pensiero, un’immagine che è pensiero. La sensibilità all’interno della materia, le cose fisiche divengono, quindi, il tramite dell’invisibile e di conseguenza il pensiero divine visibile grazie al pittore. Nel pensiero visibile gli oggetti sono denudati dal nostro significato intrasoggettivo e si scopre la magia, intesa come volere, potere, entrare in tutte le forme, in tutte le identità senza dimorare in nessuna, dal termine "mogen". L’universo si schiude sotto i nostri occhi è l’impossibile, l’inspiegabile, l’assurdo, l’ipotetica visione onirica appare con la più disarmante naturalità nel mistero del surreale. Davanti a opere come La grande famiglia, allora è logico chiedersi: sono le nuvole a farsi colomba o viceversa? Ma per un’altra grande opera La firma in bianco è lo stesso Magritte a risponderci: "Le cose visibili possono essere invisibili. Se qualcuno va a cavallo nel bosco, prima lo si vede, poi no, ma si sa che c'è, nella Firma in bianco, la cavallerizza nasconde gli alberi e gli alberi la nascondono a loro volta: Tuttavia il nostro pensiero comprende tutte e due, il visibile e l'invisibile. E io utilizzo la pittura per rendere il pensiero visibile."

Il pensiero visibile in immagini attraverso le quali l’artista intravede il possibile, il tangibile, il non senso. Composizioni che rimandano oltre l’apparenza delle cose e racchiudono, nella loro solenne integrità surreale, le poetiche sfumature del mistero e del canto del cigno come ultimo avamposto della mente. Ma anche la magia, l’appartenenza alla non forma, evocatrice di atemporalità e di spazialità sovrapposte. Incredibili visioni, traslate da ragionamenti filosofici, che semplificano il senso e trascinano la realtà esterna dentro il pensiero visibile. Lo spostamento del senso avanza e l’opera Golconde diviene esistenza surreale sospesa nell’infinito. In un ipotetico non luogo della mente, avanzano solidi palazzi dall’architettura belga, la realtà è più vicina di quanto si pensi ma si frantuma all’orizzonte quando, la trasmigrazione del reale tocca le vette del pensiero visibile e il mistero sfugge a ogni regola e a ogni certezza cognitiva.
Fedele alla sua natura enigmatica induce a riflessioni sulla profondità interiore celata dietro le inquietudini dell’ignoto, i turbamenti del ricordo e le sensazioni del sogno. Il pensiero tesse la sua tela su una superficie dove il vero e il reale hanno lo stesso spessore delle cose della realtà. Su questo bordline l’artista intreccia i tasselli di vari stimoli creativi scolpendo nella più fluida e nitida poetica dell’inconscio figure svuotato di anima e di spirito fermate in un tempo indefinito. Appaiano così gli omini in soprabito e bombetta rivolti tutti verso lo spettatore. Giochi d’ombre improbabili, di uomini che avanzano come la pioggia nella sua nella perenne stabilità di movimento, tutto nella sospensione assoluta di uno spazio metafisico per una visione surreale al limite dell’astrazione.
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La condizione umana (”La condition humaine”), 1933,
olio su tela 100 x 81, Washington, National Gallery of Art.

“Misi di fronte a una finestra, vista dall’interno d’una stanza, un quadro che rappresentava esattamente la parte di paesaggio nascosta alla vista del quadro. Quindi l’albero rappresentato nel quadro nascondeva alla vista l’albero vero dietro di esso, fuori della stanza. Esso esisteva per lo spettatore, per così dire, simultaneamente nella sua mente, come dentro la stanza nel quadro, e fuori nel paesaggio reale. Ed è così che vediamo il mondo: lo vediamo come al di fuori di noi anche se è solo d’una rappresentazione mentale di esso che facciamo esperienza dentro di noi.” (R. Magritte)
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Re: Renè Francois Magritte

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Le double secret


"Chi cerca significati simbolici è incapace di cogliere la poesia dell'immagine"

(René Magritte)
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Re: Renè Francois Magritte

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"La magie noire"
Se non puoi essere una via maestra, sii un sentiero.
Se non puoi essere il sole, sii una stella.
Sii sempre il meglio di ciò che sei.


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Perché il male trionfi è sufficiente che i buoni rinuncino all'azione.
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Silesia
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Re: Renè Francois Magritte

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Dov'è il confine tra il sogno e la realtà?
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Vertigine non è paura di cadere ma voglia di volare
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Re: Renè Francois Magritte

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"Nell'Impero delle luci ho rappresentato due idee diverse, vale a dire un paesaggio notturno e un cielo come lo vediamo di giorno. Il paesaggio fa pensare alla notte e il cielo al giorno. Trovo che questa contemporaneità di giorno e di notte abbia la forza di sorprendere e di incantare. Chiamo questa forza poesia". Così René Magritte, il surrealista belga più ambiguo ed enigmatico delle avanguardie del Novecento, rivela l'intima essenza di uno dei suoi portentosi capolavori, icona di un'estetica visionaria e contorta, tutta giocata sulla raffinata abilità nel manipolare le immagini della natura. E l'Impero delle luci (L'Empire des Lumières), scena esageratamente realistica - quasi con vezzo fiammingo per la precisione dei dettagli - si rivela spiazzante per la combinazione di un luogo notturno sotto un cielo chiaro da giorno, dove giorno e notte appaiono contemporaneamente, innescando una reazione a catena di sorpresa e incanto.
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Vertigine non è paura di cadere ma voglia di volare
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