Source Code

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essenze
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Iscritto il: 18/06/2010, 19:48

Source Code

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Un thriller di cuore e di testa, fatto della materia di cui è fatto il cinema

Bello, bellissimo. Un film che si vede tutto di un fiato

Source Code

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Il capitano Colter Stevens, pilota di elicotteri e veterano della guerra in Afghanistan, si risveglia su un treno di pendolari senza avere la minima idea di dove si trovi. Di fronte a lui Christina, una bella ragazza che lo conosce ma che lui non riconosce affatto. In tasca (e nello specchio) l'identità di un giovane insegnante di nome Sean Fentress. Poi l'esplosione, che squarcia il convoglio. Ma Colter non è morto, da un monitor un ufficiale donna lo informa che dovrà tornare sul treno per identificare l'attentatore e prevenire un successivo, più micidiale attacco. Ogni volta che farà ritorno sul treno avrà solo 8 minuti a disposizione. Di più non gli è dato sapere, la missione è top-secret, il suo nome: “Source Code”.
Ciò che più stupisce nel film di Duncan Jones, è che dentro un'idea tanto cerebrale, dentro una messa in forma calcolata al secondo, batta un cuore davvero caldo; e non è (solo) bravura attoriale o suggestione spetattoriale: è il cuore del film, l'anelito alla vita di ciò che resta del capitano Colter Stevens. Vita è conoscenza, conoscenza di sé. Al capitano serve molto più di una chance, molto più di una replica per arrivarci, ed è proprio questa fallibilità, questa necessità di ricominciare da capo (già alla base di altri bei film) a fare della sua vicenda straordinaria e fantascientifica una metafora della vicenda terrena di ogni essere umano. Non tutto torna o è comunque volontariamente talmente complesso da scorare chi si accingesse all'impresa, ma rientra nei patti, esattamente come avveniva per il televisivo Quantum Leap, dove i richiami alla fisica quantistica erano funzionali a mascherare alla meglio il vero concept della serie.
Le identità multiple indossate da Jake Gillenhall sono il tratto che narrativamente avvicina di più, nell'immediato, Source Code all'esordio del regista, Moon, ma non v'è dubbio che, nonostante gli abiti civili, le arterie stradali di Chicago, la realtà di un programma governativo e della sua sede operativa, Source Code sia quasi più fantascientifico del suo precedente ambientato nello Spazio. Laddove Moon, infatti, è una meravigliosa pagina di filosofia esistenzialista (solitudine, “individualità”, assurdo dell'esistere), qui il gioco e il pensiero muovono attorno ad una molteplicità di dimensioni (non ultima quella del finale, tutt'altro che posticcio) e il tempo è la variabile chiave, l'unica, tant'è vero che lo spazio è individuato in un non-luogo –il treno-, più che altro una direttrice, un vettore.
L'azione, il thrilling, la velocità del film di Duncan Jones non nascono, dunque, solo dagli espedienti narrativi tipici del genere nella sua declinazione hollywoodiana (la bomba, il conto alla rovescia) ma sono fatti di tempo e movimento: sono fatti della materia di cui è fatto il cinema.

fantascienza, filosofia o metafisica?

Ci sarebbe tanto da dire su questo film,ma si può sintetizzare il tutto in una parola: CAPOLAVORO.
(di seguito SPOILER) Il source code del titolo è un programma virtuale che crea universi virtuali e reali allo stesso tempo. Il SC estrapola gli ultimi 8 minuti dal cervello di un cadavere, e permette di riviverli modificandoli (solo su un piano virtuale) fondendo con i ricordi la realtà stessa. Nemmeno gli scienziati che lo creano ne capiscono al meglio il funzionamento, tanto che l'unica persona in grado di far funzionare il SC è un soldato clinicamente morto, tenuto artificialmente in vita. Ed è questo il punto chiave del film. non parliamo di fantascienza, ma di metafisica, ricollegandoci molto più ad un film come hereafter piuttosto che ad un action fantascientifico come l'ottimo Deja Vu di Scott.
E si perchè le realtà parallele in realtà non sono reali, ma virtuali, come ci spiega uno scienziato creatore del SC. Ma qual è il confine tra reale e virtuale? Le possibilità del SC sono pressochè infinite, gli universi che esso crea non sono reali ma nulla hanno da invidiare alla realtà.. sono veri e propri universi paralleli, per quanto intangibili. E così, quando alla fine del film le macchine che tengono in vita il protagonista vengono spente, lui muore, ma il suo alterego virtuale continua a vivere in una sorta di aldilà (virtuale anch'esso) insieme alle persone che ha salvato dall'attentato che nella realtà le ha uccise e a tutti coloro che ha incontrato o potrebbe incontrare, perchè le possibilità del code sono appunto infinite, come quelle di dio.
Paradossalmente il protagonista non si salva da un universo parallelo rifugiandosi nella morte, come potrebbe apparire ad una prima superficiale visione della pellicola, ma al contrario si salva dalla morte fuggendo (o rinascendo) in un universo parallelo. Non per niente il regista del film Duncan James (figlio del divino David Bowie) è filosofo, oltre che regista. ma il film non si ferma qui, questa è solo la sinossi del contenuto filosofico di esso. Oltre a questo c'è l'azione, il dramma della guerra, e ci sono le vite reali di coloro che vivono intorno al SC e le vite incompiute delle persone morte nell'attentato, che troveranno la realizzazione delle loro esistenze solo nella realtà migliorata del source code, dove gli sbagli possono essere corretti, dove dopo la morte si ha un'altra possibilità, come in un videogioco. Ottima anche la recitazione: bravissimo jake gylleenhall che, grazie al suo nuovo fisico super pumped dimostra di essere un ottimo interprete di ruoli da duro (alla harrison ford o bruce willis), oltre che di quelli piu intellettuali a cui ci aveva abituato. Ottima anche Vera Farmiga, perfetta nel ruolo di fredda ossrvatrice che scopre di avere un'anima.

Era dai tempi di videodrome ed existenz che non si vedeva al cinema una tale capacità di fondere l'azione e la filosofia più pure in un film così perfetto.Un CAPOLAVORO, appunto, da vedere e rivedere, fino ad essere sicuri di averne colto la totale essenza.
Menzione d'nore al regista, che con questo film, e il precedente Moon, dimostra di essere una dlele migliori promesse del cinema moderno, CHAPEAU.


da http://www.mymovies.it
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Bisogna avere in sè il caos per partorire una stella che danzi
(F. Nietzsche)


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