Foggia, ieri...

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Storia di Foggia

I primi ad abitare il territorio delimitato al sud dall’Ofanto e a nord dal Fortore furono i Dauni, guidati dal loro re Dauno. Secondo la leggenda ,terminata la guerra di Troia, Diomede, principe di Argo, approdò sulle costa garganiche chiedendo aiuto al re Dauno per combattere nella guerra contro i paesi limitrofi.Prima di giungere sulle coste garganiche Diomede si era insediato con il suo popolo sulle isole Tremiti che infatti sono denominate anche Diomedee.

Arpi,posta al centro della zona abitata di dauni, venne fondata da Diomede ed infatti il suo primo nome fu Argos Hippium in onore della città della regione del Peloponneso che aveva dato i natali al fondatore.

Fu una città molto popolata, ricca e forte per la sua posizione geografica, per la prosperità dell'agricoltura e per l'intenso commercio che svolgeva con le città vicine. La città era abitata da due tipi di popolazione, l’una plebea,numerosa, favorevole all’alleanza con i Sanniti che erano propensi ad allargare i loro possedimenti verso territori ricchi di pascoli e l’altra, aristocratica, propensa ad allearsi con Roma. Alla fine la città di Arpi si schierò con i Romani ma, dopo la battaglia di Canne (216 a.C.), accettò di stare al fianco di Annibale. Da allora, sottomessa a Roma, non riacquisto più lo splendore che aveva caratterizzato i suoi primi anni. Si parlò ancora di Arpi come centro di importante diocesi con il vescovo Pardo che partecipò al concilio di Arles (326 d.C.) in Francia.

Cominciò la lenta decadenza di Arpi che dal V secolo sino all'inizio del secondo millennio, fu devastata e saccheggiata ad opera dei vari conquistatori che si affacciarono sullo scenario della storia dopo la caduta dell'Impero Romano di Occidente: e allora si ricordano i danni subiti nella guerra tra Odoacre e Teodorico, la distruzione ad opera di Totila, re degli Ostrogoti (545-549) e il saccheggio per opera di Costante II (662). Nel secolo VIII fu invasa dai Longobardi e dai Saraceni, ma fu ridotta in macerie dai Normanni in lotta contro i Bizantini intorno all'anno 1000; fu allora che gli abitanti pian piano cominciarono a trasferirsi verso i monti circostanti alla ricerca di luoghi più sicuri e tranquilli.

Nel 1062 ormai Arpi non esisteva più, e i pochi casolari presenti si estendevano nelle vaste campagne ma tutti intorno alla Taverna del Gufo, l'attuale chiesa di S.Tommaso Apostolo. La zona era ricca di querceti e qua e là si trovavano laghetti e stagni formatisi per le piogge invernali. E fu proprio in una di queste paludi che si svolse un evento straordinario che avrebbe determinato la nascita di una nuova comunità.

Si diffuse un giorno, infatti, una notizia sensazionale: su di un lago dei pastori avevano notato tre fiammelle ed un tavolo avvolto in tele e, innanzi a questo evento un bue aveva piegato le ginocchia come se inginocchiato. I pastori, incuriositi,tolsero i teli dalla tavola e rinvennero una antica icona (Iconavetere) che, nonostante l'acqua e la melma, evidenziava inequivocabilmente l'immagine della Madonna con il figlio Gesù. Allora, avvolta la tavola con teli nuovi, si recarono verso la Taverna del Gufo per trovare una sicura dimora alla sacra scoperta. Di lì a poco la dimora del Sacro Tavolo divenne il centro religioso della zona e molte case vennero costruite intorno: la gente arrivava da ogni parte per venerare quella che i contadini del luogo chiamarono S.Maria de Focis (a ricordo della Madonna e delle tre fiammelle). Si sparse la notizia che l'immagine fosse stata dipinta da S.Luca e che fosse stata portata ad Arpi dal vescovo di Siponto, Lorenzo Maiorano; successivamente nel 600 d.C. sarebbe stato avvolto in drappi da un contadino premuroso e nascosto verosimilmente nel luogo dove ci sarebbe stato, nei secoli a venire, il miracoloso ritrovamento. Fu probabilmente proprio S.Maria de Focis, poi de Focia, a dare il nome di Foggia a quell'insediamento intorno alla Taverna del Gufo.

La prima ricognizione del Sacro Tavolo dell'Iconavetere fu effettuata nel 1667 ad opera di Mons. Sebastiano Sorrentino, vescovo di Troia. Di questo avvenimento vi è come testimonianza un atto notarile risalente al 1680 rogato dal notaio foggiano Giuseppe Di Stasio riportanti le ultime volontà del canonico don Ignazio Fusco, arciprete della chiesa di San Tommaso Apostolo. Tale documento, custodito presso l'Archivio di Stato di Lucera, parla proprio della ricognizione fatta di notte dal prelato accompagnato da due cappuccini per volere del vescovo di Troia. Il canonico sosteneva che, tolti i veli alla icona, gli apparve una tavola di cedro con l'immagine della Madonna sbiadita. Nel documento non si fa menzione al numero dei veli che avvolgono la Tavola per cui resta il mistero attorno al numero sette. Nel 1731 la chiesa fu semidistrutta da un violento sisma ed il sacro tavolo fu portato nella chiesa di San Giovanni Battista dove il volto della Vergine apparve per la prima volta dalla piccola finestra ogivale dell'icona. Era il 22 marzo, giovedì santo e la gente, raccolta per la santa Messa, assistette al prodigioso evento. Si sparse la notizia dell'apparizione e molti furono coloro che vollero far visita alla Madonna dei Sette Veli e tra questi Sant'Alfonso Maria de' Liguori che tra l'altro ebbe il privilegio di vedere la Madonna, giovinetta con un velo bianco sul capo. Le apparizioni continuarono sino a tutto il 1745. Nel 1782 la sacra immagine fu incoronata da papa Pio VII e alla chiesa fu attribuito il titolo di Basilica Minore. Ignoti ladri, il 6 marzo 1977 rubarono la corona d'oro ed il popolo foggiano si prodigò per l'acquisto di una nuova corona e così la vergine fu nuovamente incoronata il 22 marzo del 1982.

http://www.manganofoggia.it
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Storia di Foggia

Siamo ancora nel periodo normanno quando Roberto il Guiscardo, famoso per la costruzione di numerose chiese nelle Puglie, volle edificare sul luogo del ritrovamento un tempio in onore della Vergine Maria dell'Iconavetere: dopo aver fatto prosciugare la zona,cominciò i lavori intorno al 1080 nella zona corrispondente all'attuale Cripta della Cattedrale; praticamente dopo circa vent'anni dal ritrovamento, la sacra icona passò da S.Tommaso alla nuova chiesa di S.Maria de Focis. Nel 1089 Ruggiero, figlio del Guiscardo, elevò la chiesa di S.Maria a Cappella palatina con alle dipendenze altre Chiese del circondario. Fu Guglielmo II, detto il Buono, a volere l'ampliamento della Chiesa di S.Maria ed i lavori che, prevedevano la costruzione di una parte superiore, partirono nel 1172: durante la realizzazione furono portate numerose variazioni al progetto iniziale per cui,allungandosi i tempi per il suo completamento, la chiesa fu consegnata ai fedeli dopo la morte del sovrano. I Normanni contribuirono non solo alla realizzazione del Tempio ma realizzarono intorno alla città di Foggia una cintura di mura fortificatrici contribuendo a far crescere sempre più una città che ben presto sarebbe diventata tra le più fiorenti di quell'epoca, sotto la protezione della Madonna dei Sette Veli e della Madonna dell'Incoronata, apparsa ad un umile bifolco, Strazzacappa, su di una quercia nel folto bosco.

La tradizione racconta che verso la fine del XII secolo, giunsero a Foggia, dalla città di Antiochia, Guglielmo e Pellegrino che, dopo aver visitato la Terra Santa e i Santuari delle Puglie, vollero manifestare tutta la loro devozione alla Vergine dell'Iconavetere. Padre e figlio si sistemarono definitivamente a Foggia sino alla fine dei loro giorni, dedicandosi alla vita spirituale e all'assitenza degli infermi. Alla loro morte il popolo foggiano li acclamò Santi e successivamente furono proclamati Patroni principali della città in aggiunta a due martiri persiani dell'anno 250 S.Abdon e S.Senner. I resti mortali dei due santi si trovano in un urna d'argento. Molto più tardi, nel 1971,nel Rione dei Preti, fu dedicata ai Santi Patroni foggiani una nuova parrocchia a forma di tenda biblica per incrementarne il culto.
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Federico II di Svevia entra di scena nella storia foggiana all’inizio del XIII secolo. Personaggio molto controverso, dotato di una personalità affascinante e di una cultura poliedrica, predilesse la Puglia per il sua dimora (famosa la costruzione della fortezza di Castel del Monte) e soprattutto la nostra città dove soggiornò per periodi anche molto lunghi e sempre nei mesi più freddi dell’anno.

Federico II di Svevia anche noto come lo "stupor mundi" nacque a Jesi nel 1194 da Enrico VI (figlio di Federico Barbarossa) e Costanza d’Altavilla. Il padre, molto religioso, aveva sposato questa donna che aveva vissuto sino ad allora in convento ed era stato incoronato Imperatore di Sicilia proprio il giorno prima della nascita di Federico.

I genitori muoiono entrambi lasciando il piccolo di soli quattro anni sotto la tutela di papa Innocenzo III: quindi Federico, ancora bambino, divenne re di Sicilia e, il giorno del suo quattordicesimo compleanno (26 dicembre 1208) si autoproclamò maggiorenne assumendo per intero la responsabilità di sovrano.

Scegliendo Foggia come sede imperiale e centro strategico del suo vasto impero, dette senza ombra di dubbio splendore alla città. Negli anni 1222 e 1223 fece erigere sontuose torri a difesa della città, una caserma ed il maestoso palazzo reale che fu costruito dai più famosi architetti dell’epoca guidati dal protomagister Bartolomeo.Tale residenza reale ci viene descritta ornata di marmi preziosi e di sculture imponenti: di tutto ciò oggi, purtroppo, ci resta solo un arco sostenuto da due aquile con questa iscrizione:



Hoc fieri iussit Fredericus Caesar ut urbs Fogia regalis sedesque inclita imperialis sit A.D. 1223



“Ciò comandò Federico Cesare che fossa fatto affinché la città di Foggia divenisse reale e inclita sede imperiale”
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A Foggia Federico II ricevette le più alte personalità del tempo e, grazie alla sua frequentazione con sommi poeti e artisti, si dedicò con passione agli studi letterari riuscendo a comporre anche opere in italiano; si dice che Federico conoscesse ben nove lingue e che fu un governante molto moderno per i suoi tempi, visto che favorì la scienza e professava punti di vista piuttosto avanzati in economia. Abolì i monopoli di Stato, i dazi interni ed i freni alle importazioni all'interno del suo impero. Nei periodi in cui era meno impegnato politicamente, Federico amava inoltrarsi nei folti boschi intorno alla città cacciando con il falco che, che mentre cavalcava, portava sul suo pugno.

Il 9 settembre del 1227, pressato da Papa Gregorio IX, parte per la sesta Crociata ma, rientrato subito dopo a causa di una pestilenza che gli decima i suoi crociati, viene scomunicato dal papa.

Nel giugno dell’anno successivo Federico riparte per la stessa crociata e, grazie all’accordo con un Sultano nipote di Saladino, riesce ad ottenere una facile vittoria e si incorona Re di Gerusalemme il 18 marzo 1229. Questo successo ottenuto senza armi e soprattutto senza la partecipazione della Chiesa agli onori, fu accolta molto male dal papa e cominciò quindi la lotta sempre più aspra tra Federico II e Gregorio IX prima e Innocenzo IV dopo.

Il suo impero fu spesso in guerra con lo Stato Pontificio: fu per ben tre volte scomunicato. Papa Gregorio IX arrivò perfino a definirlo l'Anticristo (infatti Dante Alighieri lo nominerà nel X canto dell’Inferno tra gli epicurei, cioè tra chi nega l’immortalità dell’anima ).
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Proprio a causa di queste lotte tra il regno e la Chiesa, il Papa fece occupare Foggia e, nel 1229, Federico, rientrando repentinamente dalla Crociata, trovò le porte della città chiuse; bloccando le sue truppe che volevano combattere per rioccupare la città, preferì inviare ai cittadini il seguente messaggio:

“Fogia cur me fugis, cum te fecit mea manus?”

“Foggia, perché mi sfuggi,giacchè la mia mano ti costruì?”

A quel punto si aprirono le porte ed i foggiani accolsero con entusiasmo e gratitudine il “loro” imperatore.

Nel periodo di Federico II l’economia di Foggia divenne florida grazie soprattutto al mercato della zootecnia e degli attrezzi agricoli.

L’imperatore aveva un altissimo senso della giustizia e non sopportava l’idea che qualcuno, chiunque fosse, potesse trasgredire un suo volere o un suo ordine: arrivò infatti a punire il figlio Enrico ed un ministro amico come Pier della Vigna.

Una volta gli fu predetto che sarebbe morto in una località contenente la parola “fiore” e per questo evitò di frequentare la città di Florentia (Firenze): non sapeva però che vicino a Foggia, nell’agro della odierna Torremaggiore, c’era un borgo chiamato Castel Fiorentino dove aveva costruito per sè una Domus (palazzo nobiliare): e proprio in un soggiorno in questo luogo Federico ebbe una infezione intestinale a tal punto grave che si rinunciò a portarlo nel suo palazzo di Foggia.

Si racconta che Federico, riavutosi leggermente dal torpore, chiese alle guardie che lo vegliavano dove si trovasse e quando la guardia gli rispose che si trovava a Castel Fiorentino l'imperatore sospirò: "Ecco che è giunta dunque la mia ora", e entrò in agonia. Morì il 13 dicembre 1250.

A Federico II subentro prima Corrado IV che regnò quattro anni, di cui due a Foggia, e poi Manfredi, figlio naturale dell’imperatore “stupor mundi”. Nel mese di ottobre del 1258 venne a Foggia dove indisse un’assemblea generale dei baroni per pubblicare gli statuti.

A lui si deve la famosa e grandiosa caccia all’Incoronata con circa 1500 persone ma anche a lui si deve l’abbattimento delle mura normanne e delle torri di difesa erette da suo padre, per punire i foggiani che si erano schierati contro di lui e a favore di papa Alessandro IV. Probabilmente risalgono a questoperiodo i cunicoli sotterranei della città dove trovava scampo la popolazione durante gli assedi e le invasioni di cui si rese teatro la nostra città senza più mura e fortificazioni.

Nel volgere di circa mezzo secolo finiva il dominio svevo e si affacciava sul nostro suolo Carlo d’Angiò, inviato da Papa Urbano IV, nel febbraio del 1266: sta per iniziare un nuovo capitolo della nostra storia.

La terza moglie di Federico di Svevia, Isabella d'Inghilterra (1214 -1 dicenbre 1241), era sorella del re d'Inghilterra Enrico III e morì di parto a Foggia nella domus federiciana a soli ventisette anni. Isabella è sepolta nella cripta della cattedrale di Andria

Il sepolcro di Federico II, come quello di Carlo I, elevato nella chiesa madre della città, è andato distrutto dal sisma del 20 marzo 1731: esso ne custodiva il cuore.

La morte del grande Imperatore
(dal libro di Benedetto Biagi – Foggia Imperiale – 1933)

I dolori delle private sventure, il logorio della lotta immane che non gli lasciava un momento di tregua, la sensazione del tradimento che si nascondeva perfino tra le file dei suoi intimi amici – ricordate Pier delle Vigne, colui che tenne ambo le chiavi del suo cuore? – lo avevano profondamente avvilito. Il grandioso edificio imperiale crollava sotto la furia dei colpi nemici. Ridotto ad una disperazione estrema, fece ritorno nella Puglia, unico angolo di pace che gli rimaneva nel grande teatro della guerra, unica zona dove stavano in piedi gli ultimi avanzi della sua potenza, della sua gloria.
E dalla Puglia piana scriveva minaccioso ai bolognesi che tenevano prigioniero il dilettissimo e sventurato Enzo: “Non crediate spenta la forza dell’impero; interrogate gli antenati ed essi vi diranno che l’avo nostro, il vittorioso Federico seppe, quando volle, dominare i milanesi assai più forti di lui; lande noi vi domandiamo e chiediamo che vogliate tosto lasciar libero il nostro diletto figlio Enzo, Re di Sardegna, in un con gli altri nostri fedeli. Se ciò voi farete noi esalteremo la città vostra al disopra di tutte le altre; se nol farete il nostro grande e trionfale esercito assalirà Bologna, sottoponendola a tale castigo da farla diventare la favola e l’obbrobrio delle Nazioni”. Egli era vinto ma non domo. Come leone ferito, grò cupo e sospettoso per le città fedeli, incitando gli animi alla resistenza contro i nemici implacabili, contro il Comune di Bologna, divenuto il centro principale della rivolta. Oh! la fiera risposta era arrivata come una spada tagliente sul suo cuore sgomento: “Non speri la maestà vostra – avevano detto i bolognesi – di atterrirci con gonfie parole; noi non siamo canne di palude che un po’ di vento agita e sbatte, né simili a piume, né siam brume che si dissolvono ai raggi del sole. Il re Enzo ci appartiene, come crediamo sia nostro diritto e lo terremo. Contro la vostra vendetta impugneremmo le spade, resistendo da leoni; né alla maestà vostra gioverà molto l’esercito immenso, dappoichè dove sono molti nasce la confusione ed avviene talvolta che un cinghiale sia tenuto a freno da un cane”. Ormai non v’era più via d’uscita, o resistere o morire.
In questa suprema circostanza stabilì in Foggia il suo quartiere generale. Nell’ottobre del 1249, nel febbraio, nell’aprile, nel maggio, nel luglio, nell’ottobre, nel novembre e nel dicembre del 1250 qui tentò di riordinare il suo esercito a piedi e a cavallo, esercito chelo avrebbe dovuto condurre alla riscossa. Inutili e vani sforzi della sua tenacia implacabile! La provvidenza aveva segnato il destino dell’aquila imperiale ferita alla Fossalta!
Sbrigò a Foggia, nell’anno fatale, molte pratiche di governo, comparve per un’ultima volta nel castello sfarzoso posto sulla solitaria collina di Belmonte, passò in rassegna le quadrate legioni dei temuti Saraceni racchiusi nella superba mole di Lucera, poi si avviò nella incantevole dimora di Fiorentino. Una terribile dissenteria, ribelle alle cure dei valenti medici di corte, lo colpì. All’avvicinarsi della grande ora dettò il suo testamento, confessò le sue colpe a Berardo il fedele arcivescovo di Palermo e, ricevuta l’assoluzione, il 13 dicembre 1250 spirò fra le braccia dell’amatissimo figlio Manfredi. L’ateo, l’eretico, l’epicureo Imperatore si era rifugiato sotto le grandi ali della misericordia divina, implorando il perdono dei suoi errori; si era riconciliato con la Chiesa
“In ipsis quidam mortem iudiciis, preter dona mirifica et beneficia gloriosa que in testamenti serie fidelibus gratanter indulsit, sacrosantam Romanorum Ecclesiam matrem suam in corde contrito, velut fidei orthodoxe zelator, humiliter recognovit, et damna que dudum ecclesiis invitus forsitan vel potius provocatus intulerat, integre restaurando sancivit”.
La sua salma, composta della bara, venne trasportata nella sua città prediletta. Le muradella reggia, mute testimoni dei suoi trionfi, delle sue glorie, delle sue sventure, accolsero per l’ultima volta le sue spoglie mortali.
E dalla reggia Manfredi spedì l’annuncio di morte dell’Imperatore. Lo spedì al popolo, lo spedì al fratello Corrado. “ E’ caduto – egli diceva – il sole del mondo che risplendeva sulle genti, è caduto il sole di giustizia, è caduto l’autore di pace”.
E venne imbalsamato con somma cura degli scienziati della scuola medica salernitana. La parte interiore, che era stata scossa dai fremiti di gloria, il suo cuore che aveva palpitato di affetto per la sede reale ed imperiale, furono tolti e donati alla città che tanto lo aveva venerato in vita. E la città accolse il prezioso dono, lo racchiuse in una urna di marmo e lo fissò su quattro colonne di verde antico sulla porta del tempio maggiore, su quella porta che tante volte aveva veduto entrare la cesarea maestà, con tutta la sua corte sfarzosa, al cospetto di Dio grande e misericordioso, per implorare la vittoria dei suoi soldati. Il resto della salma, reso incorruttibile nei secoli, fu posto di nuovo nella bara, vestito di preziosi indumenti orientali, sui quali erano ricamate delle iscrizioni arabe. Aveva al fianco la spada, sul petto il pomo imperiale e in testa la corona. Così abbandonò per sempre la città prediletta e camminò circondato dai saraceni muti e commossi, seguito dai soldati a cavallo e dalla turba dei baroni e dei governatori cinti di gramaglie, camminò lungo le terre di Puglia piana, lungo le terre della Trinacria olezzante di fiori e di aranci e ritornò a Palermo. Lungo il cammino il popolo lo salutò reverente e commosso.
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I resti dell'antico abitato di Fiorentino si trovano in agro di Torremaggiore (FG), a 9 km a sud di questa città, sull'estremo versante ovest di una collina detta dello Sterparone: uno sperone interfluviale delimitato a nord dal Canale della Bùfola (o Bufala o Bùffala) e a sud da un piccolo corso d'acqua detto il Canaletto.
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Gli era stato predetto che sarebbe morto in un luogo il cui nome contenesse la parola fiore, e vicino ad una porta di ferro e così fu.
Oggi dell'antica fortezza fondata dai Bizantini e divenuta con Federico magnifico castello di caccia non resta che una volta a crociera ogivale e un tratto delle murature. Solo la foto aerea permette di leggere tra i cumuli di macerie la forma di una torre quadrata e di un palazzo addossata una torre circolare. Il palazzo è però scomparso non per azioni di guerra ma perché usato come cava di pietre, è da qui che proviene la lastra che costituisce l'altare della cattedrale di Lucera. Castel Fiorentino è luogo sacro alla memoria degli Svevi: sono oggi innumerevoli i turisti di lingua tedesca che vi si recano sulle tracce ancora esistenti di Federico II, Manfredi e Corradino. Lasciando Castel Fiorentino come per tornare a S. Severo prendere una delle numerose strade che portano a Torremaggiore.
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Foggia-P.zza Nigri.
Il portale federiciano nella antica collocazione
raffigurato in un disegno di V. Baltard.
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Basilica Cattedrale Foggia
(Piazza Cardinale Pericle Felici)
La sua costruzione si ricollega alla nascita e allo sviluppo della città. Una prima chiesa dedicata a Santa Maria de Fovea fu costruita sul finire del sec. XI da Roberto il Guiscardo, a testimonianza del ritrovamento dell’Iconavetere. In seguito, Guglielmo il Buono, nel 1172, fece edificare l’attuale tempio, nello stesso sito ma di maggiori proporzioni. La nuova chiesa, in stile romanico, era a croce latina con tre navate definite da colonne. La cripta, corrispondente all’attuale succorpo, era comunicante con la chiesa superiore.

Nel corso del tempo la costruzione ha subito trasformazioni radicali sia per l’opera degli uomini, sia per la calamità naturali come il terremoto del 1731. Delle antiche strutture restano la parte inferiore del tempio, dalla ricca decorazione, la suggestiva cripta e, sul lato sinistro, il misconosciuto portale di S. Martino. L’interno è barocco, con copertura a volta cui dà maggior respiro una cupola centrale. Nel transetto due ricche cappelle: l’una custodisce l’Iconavetere, l’altra un drammatico crocifisso ligneo del secolo XVII, opera del chierico Frasa. All’esterno, sul lato sud, l’elegante campanile barocco costruito nel 1740, sul lato opposto all’originario.
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Foto di Foggia antica
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Vertigine non è paura di cadere ma voglia di volare
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