Quando Ungaretti viaggiò in Puglia e Basilicata

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Iscritto il: 18/06/2010, 19:48

Quando Ungaretti viaggiò in Puglia e Basilicata

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Giuseppe Ungaretti, si sa, fu viaggiatore infaticabile. Nei suoi innumerevoli spostamenti riuscì a cogliere sempre con folgoranti intuizioni le caratteristiche di un luogo, lo spirito di un popolo, il nutrimento molteplice di un’altra cultura. Tra il febbraio e il settembre del 1934 Ungaretti, ormai poeta di fama internazionale, visitò per conto del quotidiano La Gazzetta del Popolo di Torino la Puglia e la Basilicata. Aveva negli occhi un’importante serie di paesaggi e di culture, passate al vaglio di un acuto sentimento artistico. L’Egitto natìo, la Francia delle avanguardie storiche, Firenze e Milano e Roma, sedi delle più vive proposte in campo letterario, la memoria mai sopita del Carso arroventato dalla Grande Guerra, durante la quale era nato il diario affranto dell’Allegria.
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Scendendo al Sud, si era appena staccato dalle visioni dell’Olanda e ancor prima della Corsica. Erano l’aridità e l’acqua i poli contrapposti di questa alterna vicenda geografica, i segni inconfutabili di una dialettica rintracciabile, se se ne fossero approfonditi i termini, alla confluenza con la storia d’Italia e d’Europa.

Avvenne così che quel reportage affidato alle colonne del giornale torinese si articolò in sette puntate, distese soprattutto tra terre daunie e terre lucane seguite secondo il percorso del mirabile Acquedotto Pugliese fino a Caposele. Proprio qualche anno prima, infatti, Foggia e la sua provincia avevano finalmente conosciuto il prezioso liquido pompato da possenti marchingegni lungo centinaia e centinaia di chilometri di condotte. Ungaretti, evidentemente, fu colpito da questa svolta storica dei luoghi e vi venne a testimoniare la sua meraviglia, tanto più intensa perché nel Tavoliere foggiano ritrovava l’antico deserto africano e il sole abbagliante della sua infanzia e giovinezza. Il contrasto tra acqua miracolosamente sgorgata e aridità di deserto la si avverte nell’articolo intitolato Foggia /Fontane e Chiese (poi col titolo Il Tavoliere) quando scrive: «Non saprei dirvi dove potreste trovare una cosa più sorprendente e commovente, e augurale, delle tante fontane che s’incontrano oggi fra le palme, arrivando a Foggia. Foggia e le sue fontane! Non è quasi come dire un Sahara diventato Tivoli? Voglio dire che anche qui ha regno il sole autentico, il sole belva. Si sente dal polverone, fatti appena due passi fuori. Penso con nostalgia che dev’essere uno spettacolo inaudito qui vederlo d’estate, quand’è la sua ora, e va, nel colmo della forza, tramutando il sasso nel guizzare di lacerti. Non c’è un rigagnolo, non c’è un albero. La pianura s’apre come un mare. Vorrei qui vederlo nel suo sfogo immenso, ondeggiare coll’alito tormentoso del favonio sopra il grano impazzito».

Dopo Foggia, Ungaretti si spostò a Manfredonia e poi risalì il Gargano fino a Monte Sant’Angelo: «Il Gargano (scrive in La giovine maternità) è il monte più vario che si possa immaginare. Ha nel suo cuore la Foresta Umbra, con faggi e cerri che hanno 50 metri d’altezza e un fusto d’una bracciata di 5 metri, e l’età di Matusalemme; con abeti, aceri, tassi; con un rigoglio, un colore, l’idea che le stagioni si siano incantate in sull’ora di sera; con caprioli, lepri, volpi che vi scappano di fra i piedi; con ogni gorgheggio, gemito, pigolìo d’uccelli... Ma queste pendici che vanno giù verso Manfredonia sono tutto sasso. Salendo da questo lato verso Montesantangelo la vegetazione è tutt’altro che facile. Ma questa è la giornata degli spettacoli commoventi. Giù, vedete, si estende a perdita d’occhio la pianura: terra, terra. E con tanta terra a due passi, guardate questi montanari: vanno a cercare la loro terra avara col cucchiaino». Scendendo verso Lucera, l’occhio dello scrittore fu attratto dalle imponenti fabbriche del duomo e del castello, dove ebbe modo di esercitare anche la sua forte sensibilità artistica e storica: «In un delta oblungo, (scrive in Lucera, città di Santa Maria) e come sposando il silenzio, il Duomo è fermo su una terra a onde. Duomo della città di S. Maria. Ma commemora lo scatenamento d’un furore. La pietra cotta e la cruda, stinte, patinate, penetrate l’una nell’altra, hanno avuto dal tempo un’unità di giallo leggermente ombrato: è una facciata alta, impettita, piallata, orba con quel suo finestrino nel rosone, tagliente, coperta dal tempo di un colore di grido represso».

Giunto a Venosa, sarà tutto un andare al bel trotto verso le sorgenti dell’acquedotto. Dalla Lucania verso Caposele, dove la montagna lascia vedere lo sgorgare prodigioso delle acque. Non ci sarà più bisogno di usare metafore per Ungaretti. Questo miracolo se lo porterà dentro il suo deserto assetato, nella nuova avventura brasiliana che gli toccherà in sorte di lì a due anni.

lagazzettadelmezzogiorno.it
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Bisogna avere in sè il caos per partorire una stella che danzi
(F. Nietzsche)


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